La parrocchia

Invitiamo tutti a visitare la chiesa di S. Barbara e a pregare tra le sue mura.

Siamo orgogliosi della nostra “casa” e di seguito trovate alcune brevi informazioni che la presentano.

Santa Barbara a Metanopoli

La Chiesa di Santa Barbara di San Donato Milanese è sita nel centro del quartiere di Metanopoli.

A promuovere la realizzazione dell’edificio sacro fu Enrico Mattei che affidò la fase progettuale all’architetto Mario Bacciocchi.

La Chiesa di Santa Barbara venne inaugurata nel 1955 e nel 1963 divenne sede della parrocchia prepositurale.

L’esterno della Chiesa di Santa Barbara si presenta con un portico d’ingresso che richiama i motivi architettonici degli ornati policromi. La chiesa ha una facciata a capanna; presenta un porticato con pilastri in cemento armato ed è abbellita alla sua sommità da guglie gotiche.  Le guglie sono un evidente richiamo al Duomo di Milano.

Tutte le pareti esterne sono rivestite da pannelli in cemento su sfondi colorati, che creano un delicato gioco cromatico riprendendo l’esempio di Santa Maria del Fiore e di Santa Croce a Firenze.

La storia di Santa Barbara, vergine e martire, tradizionalmente protettrice degli artificieri e minatori e, forse su richiesta dello stesso Mattei, anche patrona dei petrolieri e metanieri, è raccontata sul portone d’ingresso centrale, incisa su bronzo dagli scultori Arnaldo e Gio’ Pomodoro.

È affiancata da un battistero a pianta ottagonale (all’interno il dipinto Battesimo di Gesù di Ernesto Bergagna della Scuola Beato Angelico) e da un campanile snello, alto 45 metri, entrambi rivestiti in pietra naturale.

Sulla piazza, a pochi metri dal campanile è collocata la statua di Santa Barbara, opera di Aldo Caron. È un blocco di porfido rosa monolitico alto tre metri e la figura umana è astratta, abbozzata con tratti dinamici che ricordano opere cubiste.

L’interno è composto da una grande navata centrale e altre due laterali; che si presentano come piccole cappelle in successione e collegate tra loro. La loro copertura è una balconata che continua anche sul lato della facciata d’ingresso. L’ampio presbiterio è dominato dall’immensa Crocifissione, capolavoro di un pittore originario del Cadore, Fiorenzo Tomea.

Il mosaico raffigurante il Calvario, che occupa la parete di fondo della navata centrale (800 metri quadri), è stato realizzato con moduli eseguiti a terra e poi assemblati sulla superficie verticale.

La luce, che qui cala dall’alto dal soffitto a vetrate e non da finestre laterali, Illumina il grande mosaico e ravviva l’azzurro del cielo che fa da sfondo alle tre croci.

Poi si diffonde sfumando nella parte della chiesa dedicata ai fedeli, che trovano così quasi un’ombra dove rilassarsi nella preghiera e nel raccoglimento: l’ascetica penombra delle chiese romaniche.

La decorazione del soffitto a tarsie lignee (tecnica di dipinti su legno utilizzata nel Medioevo) è opera di Andrea e Pietro Cascella ed è costituita da una cinquantina di pannelli di diverse forme e dimensioni con immagini paleocristiane stilizzate in modo da sembrare un linguaggio astratto e moderno.

L’altare ha la forma di una grande incudine (forse un richiamo al mondo del lavoro); è rivestito di un mosaico veneziano d’oro e racchiude in un’arca in marmo giallo la reliquia di Santa Barbara.

Gli arredi, un tabernacolo in legno antico con piccoli pannelli in rame scolpiti e due massicci candelabri, sono opere giovanili di Arnaldo e Giò Pomodoro.

La Via Crucis collocata nelle pareti laterali è composta di quattordici bronzi scolpiti in bassorilievo e incastonati nella parete da Pericle Fazzini, scultore di fama internazionale (sue opere sono esposte nei musei di New York, Tokio, Londra e Parigi).

Nelle tre cappelle di destra, in ordine di successione, troviamo: un San Giuseppe in bassorilievo ligneo di Ilario Rossi,

tre statue in bronzo dello scultore siciliano Augusto Perez (un Cristo con le braccia abbassate sullo sfondo di una croce, affiancato da San Francesco e Santa Caterina)

e il dipinto della Madonna con bambino fra gli angeli, di Bruno Cassinari, noto pittore espressionista piacentino.

Nelle cappelle di sinistra, si possono ammirare un Sant’Antonio che predica alle rane, in pannelli dipinti da Franco Gentilini, pittore faentino,

e una tela con Santa Barbara dipinta dal ligure don Francesco Boccardo, sacerdote e pittore.

Infine sui gradini che portano all’altare è visibile una scultura in legno rappresentante la Madonna con bambino di don Marco Melzi, mentre la sede del leggio è arricchita da uno smalto su rame di Cappello.

Il pulpito è decorato con un’opera che raffigura i quattro evangelisti.

Per approfondire:

Breve vita Autore
L’architetto Mario Bacciocchi ha progettato diverse opere tra le due guerre e nei decenni successivi; vale la pena ricordare il Liceo Melchiorre Gioia a Piacenza (1933-37) e la torre di appartamenti in piazza Repubblica a Milano (1936-39). Dopo la parentesi bellica ha modo di confrontarsi anche a livello internazionale con progetti che lo vedono coinvolto in India (piano regolatore per la città di Gandidham) e in America (realizzazione della Cittadella Sacra a Boston).

Altri progetti sacri di M. Bacciocchi
L’architetto ha modo di confrontarsi con il tema dell’architettura sacra tramite le chiese di Sant’Ignazio di Loyola (1962-63) e Sant’Angela Merici (1958-60), entrambe a Milano.

Lo spirito che ne ha caratterizzato la realizzazione

Lo spirito che ha portato alla realizzazione di S. Barbara è ben sintetizzato nell”articolo di Don Giuseppe Scotti dal titolo “La città dell”uomo”.

La città dell’uomo

Don. Giuseppe Scotti, responsabile Ufficio Beni Culturali della diocesi di Milano.

Gli urbanisti immaginano la città del futuro. E fanno progetti. Gli architetti vedono gli spazi, vedono l’arredo urbano. Ed elaborano disegni. I politici organizzano il recupero di aree dismesse. E propongono bandi. I sociologi raccontano di una società che muta. E scrivono articoli. Le imprese di costruzioni vedono le nuove opportunità. E stendono il budget.

Chi abita la città sa dei progetti, vede i disegni, conosce i bandi, legge gli articoli, capisce l’aspetto economico. Tuttavia, alla fine, rimane frastornato, arido, triste.

Questa è la mia città? E’ la città dove io vivo, lavoro, amo, studio, intesso relazioni, costruisco futuro, genero figli? Questa è la mia città, la città dell’uomo? E’ la città dell’uomo aperto agli altri uomini? E’ la città abitabile e abitata da chi è aperto al trascendente? E’ la città dove l’arte ha la sua casa? E’ la città dove la scultura trova dimora? E’ il luogo dove la poesia rimanda ad un “oltre” che rende capace di osare?

Forse bisogna trovare un poeta per accendere una luce su questo tempo.

Occorre un poeta, ricco d’anni e di sapienza, per condurre l’uomo contemporaneo che progetta la città del futuro a non avere occhi spenti. Sì, un poeta che osa dire parole che il cuore sa essere essenziali, ma che i progetti, i disegni, i bandi, gli articoli e il budget sorvolano. Quasi fossero quisquilie, banalità per chi vive in una società che cambia.

E’ il poeta dagli occhi aperti, luminosi e vigili, carico d’anni, perché giunto all’ultima postazione del suo – ma forse anche totalmente nostro smarrimento – a convocare noi tutti in una corale domanda:

E nemmeno so
se questa
mia povera argilla
deforme e consunta
arda

per sete di volto:
“il tuo volto io cerco?”

Così, forse è solo così, che troveranno ancora casa i Bacciocchi, i Cassinari, i Cascella, i Gentilini, i Fazzini, i Pomodoro, i Tomea. Proprio come è avvenuto per il nuovo insediamento di Metanopoli a metà del secolo XX. Ed è così che movimento, colore, tempo, spazio, gioia, vita entrano in dialogo proficuo con la società che cambia. Basterebbe ricordare il rapporto fra Lucio Fontana e il Duomo di Milano nato in tempi probabilmente più difficili. Forse occorre osare immaginare.

Articolo tratto da:

Centralità Urbana